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Impero coloniale italiano.

Termine con cui si intende indicare l'insieme dei territori africani su cui l'Italia esercitò un'occupazione coloniale fra il 1882 e il 1947. La penetrazione italiana in Africa Orientale ebbe inizio in seguito all'occupazione francese della Tunisia (1881), che costrinse il Governo italiano a cercare altri sbocchi possibili per le proprie mire espansionistiche in ambito coloniale. Nel 1882 l'Italia acquistò il territorio di Assab dalla compagnia Rubattino e nel 1885 occupò Massaua e altri centri eritrei, dando inizio a una lenta espansione in Africa Orientale: poco dopo infatti si effettuò l'occupazione di Saati con la sottomissione degli Habab. Il negus Giovanni inviò contro gli Italiani, guidati da T. De Cristoforis, il ras Alula che il 26 gennaio 1887 sorprese e sconfisse la colonna militare presso Dogali. Il Governo italiano, ad opera specialmente del primo ministro Crispi estremamente favorevole all'espansione italiana in Africa, decise l'invio di rinforzi agli ordini del generale Baldissera. Il negus stesso si mise alla testa di un esercito di 60.000 uomini che però non furono subito impegnati in combattimento. Nel 1889 il negus Giovanni morì lasciando come successore il figlio Mangascià. L'Italia, che nel frattempo aveva occupato Cheren e Asmara, appoggiò invece il pretendente Menelik in ragione di un accordo, poi ratificato dal trattato di Uccialli (1889), per il quale venivano riconosciuti i possedimenti italiani sul Mar Rosso e si offriva ambiguamente una sorta di protettorato italiano sull'Abissinia. Tale trattato fu però presto sconfessato: il primo segnale delle ostilità fu dato dalla rivolta dei Dervisci contro l'Eritrea italiana. Benché questi fossero stati sconfitti ad Agordat (1893), le ostilità non si spensero e anzi, quando le truppe italiane agli ordini del generale Baratieri occuparono il Tigrè, la situazione precipitò. Lo stesso Menelik, nel 1895, radunò e si pose al comando di un esercito della cui schiacciante superiorità numerica i comandanti italiani non tennero conto. Gli italiani furono sconfitti a più riprese ad Amba Alagi, a Macallè e infine ad Adua (1° marzo 1896), dove subirono la perdita di oltre 6.000 uomini. La sostituzione di Baratieri con Baldissera, che riuscì a liberare in Eritrea Adigrat e Kassala assediate, permise di contenere la pressione di Menelik e di concludere la pace di Addis Abeba (ottobre 1996): il confine fu fissato sulla linea Maréb-Bèlesa-Muna, mentre venne sostanzialmente inavalidato il trattato di Uccialli. La penetrazione italiana si diresse allora verso le coste della Somalia, dove furono stabilite alcune postazioni commerciali. Tuttavia i modesti risultati e benefici economico-militari, quali si attendevano dalla colonizzazione dell'Africa orientale, spinsero il Governo italiano verso le coste dell'Africa settentrionale. Dopo un'intensa azione diplomatica del Governo Giolitti, che riuscì a ottenere l'accordo delle grandi potenze e il riconoscimento francese agli interessi coloniali d'Italia in Africa, il Governo italiano si preparò all'intervento e alla conquista della Libia, su cui allora vantava diritti la Turchia. Nell'ottobre 1911 ebbe inizio la guerra italo-turca. Il 5 ottobre, dopo un breve bombardamento, fu occupata Tripoli e i Turchi, appoggiati da gruppi di guerriglieri indigeni, si ritirarono nell'interno. Nello stesso giorno una squadra navale prese Tobruk e successivamente furono conquistate Bengasi, Derna e Homs. La resistenza delle forze turche costrinse però l'Italia a continuare la guerra nell'Egeo, dove la flotta italiana si impadronì anche del Dodecaneso. Le ostilità terminarono con il trattato di Losanna del 18 ottobre 1912, in cui il sultano riconosceva le conquiste italiane, mantenendo però l'autorità religiosa del califfato sui medesimi territori. L'Italia avrebbe mantenuto in pegno le isole dell'Egeo finché soldati e funzionari turchi avessero lasciato la Libia. In realtà il Dodecaneso e Rodi furono riconosciute come possesso stabile dell'Italia dalla Conferenza di Pace di Parigi nel 1919. Durante la prima guerra mondiale l'occupazione del territorio libico si ridusse alla zona costiera, ma dopo il 1918 le operazioni furono riprese in chiave espansionistica. La pacificazione delle regioni interne fu ottenuta a fatica, a prezzo di rappresaglie nei confronti delle tribù indigene che si opponevano all'occupazione italiana. Gli ultimi centri di resistenza dei Senussi furono debellati solo nel 1931. L'avvento al potere del Fascismo diede nuovo impulso alla colonizzazione italiana in Africa orientale. I continui contrasti di frontiera (1934) servirono di pretesto al Governo fascista per la mobilitazione contro l'Etiopia, malgrado l'opposizione della Società delle Nazioni e la dichiarazione di sanzioni economiche contro l'Italia. Nell'ottobre del 1935 le truppe italiane varcarono i confini dell'Abissinia, senza neanche una preventiva dichiarazione di guerra, guidate dal maresciallo Badoglio. Dopo l'occupazione di Adigrat e di Adua, le operazioni subirono rallentamenti e alcune sconfitte locali inflitte dagli Etiopi guidati dal negus Hailé Selassiè. Furono inviate nuove truppe di rinforzo, armi e vettovagliamenti che permisero di sopravanzare l'esercito abissino in più riprese, fino alla sconfitta decisiva presso il lago Ascianghi. Nello stesso periodo dal fronte meridionale, il maresciallo Graziani, rettore della Somalia italiana, ottenne il successo di Neghelli e raggiunse Harar. Dopo la presa dell'Amba Alagi, gli italiani vinsero le ultime resistenze e, nel maggio 1936, entrarono ad Addis Abeba mentre il negus si rifugiava all'estero. Il 9 maggio di quell'anno Mussolini proclamò unilateralmente l'Impero italiano di Etiopia (comprendente anche i territori somali), il cui primo viceré fu lo stesso Badoglio, poi sostituito da Graziani. La Società delle Nazioni prese atto della situazione senza più intervenire e il negus Hailé Selassiè fu costretto all'esilio a Londra. Tuttavia, nonostante l'impiego di armi e metodi brutali, l'occupazione fascista non riuscì mai a debellare la resistenza e la guerriglia locale e, nel 1941, il Paese fu abbandonato per la pressione degli eserciti alleati e delle formazioni partigiane abissine. La seconda guerra mondiale, d'altra parte, coinvolse tutti i possedimenti africani italiani: dapprima si persero i territori dell'Africa orientale e successivamente quelli della Libia (Cirenaica e Tripolitania), di cui gli alleati si valsero come base per la preparazione dello sbarco in Sicilia. Nel dopoguerra l'Etiopia tornò sotto il governo del negus e la Libia fu amministrata temporaneamente dagli Inglesi, diventando indipendente nel 1951. All'Italia, come intermediaria dell'ONU, restò l'amministrazione fiduciaria della Somalia, che raggiunse l'indipendenza nel 1960.